domenica 23 novembre 2014

L’invidia del traduttore dal giapponese


Domenica di fine autunno, in casa a mangiare torta davanti al pc, fuori già quasi buio, non riesco a immaginare momento migliore di questo per abbandonarmi ai lamenti e all’autocommiserazione. Metto subito le carte in tavola senza troppi giri. Il punto è questo: ogni settimana sui forum di traduttori (biblit, ad esempio), su facebook, sui blog di traduzione che seguo, un altro po’ pure nella cassetta della posta, mi arrivano avvisi di incontri, seminari, laboratori, corsi d’aggiornamento, pubblicazioni e concorsi destinati a traduttori o aspiranti traduttori, tecnici e letterari. Che bello – penserete! E infatti sì, è stupendo! Se uno traduce dall’inglese, dal francese, dal tedesco o da altre lingue europee. Ma un povero traduttore dal giapponese che deve fare per confrontarsi, formarsi, migliorare?

Attualmente in Italia l’unico luogo deputato alla (prima) formazione dei traduttori dal giapponese è l’università. Finita quella, se si intraprende il percorso di traduttore al di fuori dell’ambiente accademico, il giovane e meno giovane determinato a fare della traduzione il suo lavoro incontra davanti a sé una landa desolata. Mancano master, corsi di specializzazione, luoghi di incontro, concorsi specifici e persino testi di riferimento.
La maggior parte di noi, allora, si ingegna per sfruttare al massimo tutto quello che ha a disposizione.

La prima cosa di solito è leggere manuali per traduttori dall’inglese o da altre lingue verso l’italiano, ma è inutile dire che in questi libri, peraltro utilissimi e interessantissimi, un traduttore del giapponese non troverà quasi mai affrontate certe questioni che riguardano nello specifico il passaggio spericolato da una lingua così lontana alla propria.

Un’altra cosa che si può fare, e che a me è servita molto in questi anni, è leggere i manuali di traduzione dal giapponese destinati a studenti o studiosi di lingua inglese (dico inglese perché è una lingua che conosco, ma credo e spero esistano pubblicazioni di questo genere anche in altre lingue europee). In questa maniera ho sciolto diversi dubbi, ho avuto delle vere epifanie. Però, com’è ovvio, esistono tutta una serie di problemi particolari relativi alla traduzione dalla lingua giapponese alla lingua italiana che continuano a non essere trattati.

Spulciando ben bene, del materiale specifico lo si riesce anche a mettere insieme, ma è poco!

Certo esistono l’esperienza, il confronto con i colleghi (una vera salvezza), lo studio delle traduzioni autorevoli e altri mezzi a cui ogni traduttore, non solo chi si occupa di lingue lontane, può e deve ricorrere. Però concedetemela un po’ di invidia domenicale, a costo di accumulare demeriti karmici intendo nutrire per qualche ora questo sentimento poco nobile. Ma, soprattutto, concedetemi di fare un appello: grandi traduttori che avete scritto la storia della letteratura giapponese in Italia (non so, Giorgio Amitrano, Maria Teresa Orsi, Antonietta Pastore, Andrea Maurizi, Ginaluca Coci, Paola Scrolavezza - e potrei fare molti altri nomi) abbiate pietà e scrivete di più sulla traduzione!

Spero nel futuro. E, nonostante lo sfogo di oggi, non sono una persona che sta lì a lamentarsi con le mani in mano. Vediamo che si può fare, vediamo che si può organizzare. Ma almeno per un altro po’ non mi resta che miagolare alla luna :)



lunedì 17 novembre 2014

Ichijū sansai: seminario di cucina giapponese

Ieri io e Masako Tominaga abbiamo tenuto un seminario di cucina giapponese presso Doozo. Ero in un posto a cui sono molto affezionata, le allieve mi sono sembrate piene di curiosità e soprattutto la cuoca Masako ci ha mostrato la preparazione di diverse ricette trasmettendo a tutti noi un grande amore per il proprio paese: è stata una bella domenica per me!

La cuoca Tominaga Masako ai fornelli


I partecipanti



Ormai mi occupo già da tempo di cucina (e storia della cucina) giapponese, il mio interesse principale sono i rapporti tra alimentazione e religione, ma mi appassionano tutti gli aspetti della cultura alimentare del paese, dall’antichità fino ai giorni nostri. Ho tradotto spesso ricette, menù, brevi testi di cucina e spero in un futuro non troppo lontano di avere la possibilità di dedicarmi alla traduzione di interi libri sull’argomento. 

Una pagina delle dispense con le ricette che abbiamo preparato per gli allievi

Ma veniamo al seminario di ieri. Non voglio dilungarmi troppo. Solo una breve spiegazione di cosa significa Ichijū sansai e del perché abbiamo scelto questo argomento per il corso. Poi le immagini :)

Ichijū sansai letteralmente significa “una zuppa, tre piatti” ed indica un pasto costituito da una zuppa e altri tre piatti, il principale dei quali si chiama shusai 主菜, gli altri due sono i fukusai 副菜. Il pasto comprende sempre una ciotola di riso e delle verdure in salamoia, che però non rientrano nel conteggio delle pietanze.
La scelta è caduta su questo aspetto della cucina giapponese per l’importanza storica della formula Ichijū sansai nell’alimentazione quotidiana in Giappone fin dall’antichità. Una testimonianza inequivocabile dell’esistenza di questa abitudine alimentare la troviamo già in tardo periodo Heian (794-1185), in un rotolo illustrato, lo yamai no sōshi 病草紙.

Yamai no sōshi, rotolo dipinto del tardo periodo Heian

Potete vedere in basso una raffigurazione di un pasto, in cui c’è la classica ciotola di riso, una zuppa, e tre piattini, presumibilmente pesce essiccato e verdure in salamoia. La zuppa è a destra, il riso a sinistra, esattamente come si fa anche adesso.

In programma c’erano:

La cottura del riso bianco a vapore
Il brodo dashi
La zuppa di miso
Asazuke di zenzero e daikon
Salmone in salsa teriyaki
Sunomono di alga wakame e cetrioli
Goma-ae di cicoria
Onigiri

Ed ecco qualche altra immagine per voi!







Preparazione del salmone in salsa teriyaki

Preparazione di sunomono di alghe wakame e cetrioli

Masako pesta il sesamo nel suribachi


Goma-ae di cicoria e sesamo nero