L’invidia del traduttore dal
giapponese
Domenica di fine
autunno, in casa a mangiare torta davanti al pc, fuori già quasi buio, non
riesco a immaginare momento migliore di questo per abbandonarmi ai lamenti e
all’autocommiserazione. Metto subito le carte in tavola senza troppi giri. Il
punto è questo: ogni settimana sui forum di traduttori (biblit, ad esempio), su
facebook, sui blog di traduzione che seguo, un altro po’ pure nella cassetta
della posta, mi arrivano avvisi di incontri, seminari, laboratori, corsi d’aggiornamento,
pubblicazioni e concorsi destinati a traduttori o aspiranti traduttori, tecnici
e letterari. Che bello – penserete! E infatti sì, è stupendo! Se uno traduce
dall’inglese, dal francese, dal tedesco o da altre lingue europee. Ma un povero
traduttore dal giapponese che deve fare per confrontarsi, formarsi, migliorare?
Attualmente in
Italia l’unico luogo deputato alla (prima) formazione dei traduttori dal
giapponese è l’università. Finita quella, se si intraprende il percorso di
traduttore al di fuori dell’ambiente accademico, il giovane e meno giovane
determinato a fare della traduzione il suo lavoro incontra davanti a sé una
landa desolata. Mancano master, corsi di specializzazione, luoghi di incontro,
concorsi specifici e persino testi di riferimento.
La maggior parte di
noi, allora, si ingegna per sfruttare al massimo tutto quello che ha a
disposizione.
La prima cosa di
solito è leggere manuali per traduttori dall’inglese o da altre lingue verso l’italiano,
ma è inutile dire che in questi libri, peraltro utilissimi e interessantissimi,
un traduttore del giapponese non troverà quasi mai affrontate certe questioni
che riguardano nello specifico il passaggio spericolato da una lingua così
lontana alla propria.
Un’altra cosa che si
può fare, e che a me è servita molto in questi anni, è leggere i manuali di
traduzione dal giapponese destinati a studenti o studiosi di lingua inglese
(dico inglese perché è una lingua che conosco, ma credo e spero esistano
pubblicazioni di questo genere anche in altre lingue europee). In questa
maniera ho sciolto diversi dubbi, ho avuto delle vere epifanie. Però, com’è
ovvio, esistono tutta una serie di problemi particolari relativi alla
traduzione dalla lingua giapponese alla lingua italiana che continuano a non
essere trattati.
Spulciando ben bene, del materiale specifico lo si riesce anche a mettere insieme, ma è poco!
Certo esistono
l’esperienza, il confronto con i colleghi (una vera salvezza), lo studio delle
traduzioni autorevoli e altri mezzi a cui ogni traduttore, non solo chi si
occupa di lingue lontane, può e deve ricorrere. Però concedetemela un po’ di
invidia domenicale, a costo di accumulare demeriti karmici intendo nutrire per
qualche ora questo sentimento poco nobile. Ma, soprattutto, concedetemi di
fare un appello: grandi traduttori che avete scritto la storia
della letteratura giapponese in Italia (non so, Giorgio Amitrano, Maria
Teresa Orsi, Antonietta Pastore, Andrea Maurizi, Ginaluca Coci, Paola
Scrolavezza - e potrei fare molti altri nomi) abbiate pietà e scrivete di più sulla traduzione!
Spero nel futuro. E,
nonostante lo sfogo di oggi, non sono una persona che sta lì a lamentarsi con
le mani in mano. Vediamo che si può fare, vediamo che si può organizzare. Ma
almeno per un altro po’ non mi resta che miagolare alla luna :)