lunedì 2 marzo 2015

Gli altri traduttori (e io)
L’inizio di un nuovo libro


Spesso, mentre traduco un libro, leggo libri sulla traduzione. 

Le parole di traduttori esperti ed autorevoli mi aiutano a tenere viva la riflessione sul lavoro che sto portando avanti, e mi fanno sentire protetta, come se un maestro fosse sempre lì a seguirmi, ammonirmi, incoraggiarmi, illuminarmi.

Tanti momenti di sconforto li ho superati così. Ricordo, in particolare, Letteralmente a pezzi di Daniele Petruccioli, il racconto ironico delle difficoltà da lui incontrate nel tradurre Lettere di Mark Dunn per Voland. Poche pagine che mi risollevarono da uno stato traduttivo-depressivo-ossessivo (Non so fare questo lavoro, basta, lascio tutto, mi metto a fare la cuoca in un ristorante giapponese).

In questi giorni, come compagno per la nuova traduzione, ho scelto il libro Sul tradurre. Esperienze e divagazioni militanti di Susanna Basso.

L’ho adorato subito, fin dall’incipit:

Tradurre è bellissimo in autunno, quando le giornate diventano più corte e accendo la luce sul mio libro sempre prima. La luce naturale un po’ mi deconcentra; illumina anche il resto della stanza, tutti gli altri libri, i mobili, le tende. Qui sotto invece, in questo cerchio chiaro che mi isola, siamo davvero sole, le frasi e io.

Poco dopo, parlando delle sue prime traduzioni, Susanna Basso dice:

Dovevo ancora accettare la lentezza che la traduzione impone; ricordo che cercavo di escogitare sistemi per accelerare i tempi. Ero convinta che l’esperienza mi avrebbe resa più veloce.

Ho avuto la sensazione che un pensiero nascosto da qualche parte dentro di me maturasse all’improvviso e venisse finalmente allo scoperto.

Ogni volta che comincio un nuovo lavoro mi ripeto: «Ormai sono più esperta, sarò più veloce» e ogni volta mi sbaglio. La traduzione ha i suoi tempi, che fino ad ora non sono mai riuscita a forzare. Ho sempre vissuto questa impossibilità con un senso di colpa e di inadeguatezza, ma qualche giorno fa, leggendo le parole di Susanna Basso, mi è scesa una strana calma, come un sentimento di riappacificazione, non so, come se fosse la mattina di Natale, fuori nevicasse dolcemente e io fossi in casa seduta al caldo davanti al camino (che, tra parentesi, non ho mai avuto in vita mia, ma insomma immagino sia bello).

La Basso infine scrive:

Ho poi scoperto che l’esperienza non accelera affatto i tempi del lavoro, ma cura l’impazienza e il bisogno che il telefono squilli.

Allora questo nuovo libro, 朴歯の下駄 Hooba no geta di Noguchi Akiko, vorrei portarlo avanti con il piede giusto. Fin dalle prime pagine ho sentito che la voce delicata di questa donna richiederà tempo per essere capita e tempo per essere resa. Ma, diversamente dal solito, è stato un pensiero sereno, caldo, privo di ansia. Questa volta vorrei esercitare con più amore quelli che forse sono i miei unici talenti, la pazienza, la costanza, la lentezza. Saremo «davvero sole, le frasi e io», e – confesso – ora non potrei immaginare per me nessun conforto migliore. 


Noguchi Akiko 野口昭子