domenica 6 dicembre 2015

Una notte sul treno della Via Lattea 



Qualche settimana fa, durante un viaggio in treno, ho ripreso in mano un vecchio manuale di grammatica giapponese. Ovvio che, traducendo, consulto continuamente grammatiche di vario genere, ma erano anni che non ne studiavo una dalla prima all'ultima pagina, svolgendo gli esercizi, segnandomi le parole sul taccuino, esercitandomi man mano a scrivere gli ideogrammi che tendo a dimenticare più facilmente. 





La preparazione di un esame mi ha riportato a questo mondo passato, il mondo degli anni di studio all'Istituto Giapponese di Cultura. E, soprattutto, il mondo dei miei primi studi in Giappone. Non che non pensi mai a quegli anni, ma le due ore di treno da Roma a Bologna hanno fatto affiorare qualcosa di diverso dai semplici ricordi. 

Era una sensazione viva, presente, esattamente uguale a quella dell'epoca e non un semplice crogiolarmi nella nostalgia per un passato che, appunto, è passato. 

Parlo di quella felicità immobile, senza tempo, immutabile, alienante, rappacificante, salvifica di studiare una lingua su un manuale.

Mentre leggevo l'elenco di frasi che illustravano una determinata regola mi sentivo rassicurata e, nello stesso tempo, meravigliata. Avevo scordato il piacere infinito di imparare le espressioni e le regole in modo schematico e sistematico, quasi astratto. Direi come in un distillato, in una specie di versione perfetta e senza sbavature della lingua, dove si susseguono frasi dal contenuto per lo più idiota: 

Più studio giapponese più divento bravo.

Se fossi io il professore, eliminerei gli esami.
Al concerto ero sul punto di starnutire, ma ho resistito.

Ho pensato al titolo di un racconto di Miyazawa Kenji: Una notte sul treno della Via Lattea. La situazione in cui ero non c'entrava assolutamente nulla con la storia in questione, però mi immaginavo su un treno in corsa tra le stelle a studiare grammatica.


Poi, visto che evidentemente ero in vena di riferimenti e citazioni che non c'entravano nulla, ho pensato alle Lezioni Americane di Calvino, quando - in Rapidità - dice:

Certo la letteratura non sarebbe mai esistita se una parte degli esseri umani non fosse stata incline a una forte introversione, a una scontentezza per il mondo com'è, a un dimenticarsi delle ore e dei giorni fissando lo sguardo sull'immobilità delle parole mute. 

Il mio studio, in particolare quello delle lingue, lo vedo un po' così. 

Penso alle ore trascorse in biblioteca a Tōkyō, a studiare frasi su frasi, scrivere, correggere, scoprire, dimenticare e ricordare, e ogni volta essere felici. Il fine era pratico, certo, ma per me è sempre stato più un dimenticarmi delle ore e dei giorni, di tutto, dando spazio alla mia introversione, immaginando un mondo diverso, afferrabile e preciso, pulito. 

Non sono una fanatica della grammatica, non è questo. Non sono tra quelli che tengono comizi sull'uso dei congiuntivi, si indignano per i prestiti dall'inglese o fanno le pulci agli altri quando parlano e scrivono. Solo, studiarla, mi distende, mi assorbe, mi scioglie e semplifica i pensieri. Rispetto a tradurre, un libro di grammatica è più dolce, come chiacchierare con un vecchia amica, è un treno per la Via Lattea su cui resterei giorni, una vita.

Come avevo fatto a dimenticare quello stato di quiete, direi quasi meditativo? Come posso fare per non dimenticarmene ancora? Che argomentazioni posso portare a mia difesa di fronte a chi leggendo questo post mi dirà: ma vai a zappare la terra? 


  

4 commenti:

English literature addicted ha detto...

Ed un'atmosfera irreale di pace, quasi un'oasi di calma, una polla di calore vicino emana dal tuo racconto, e mi fa tornare le mie ore trascorse sulla grammatica latina e, soprattutto, su quella greca, al liceo prima e all'università poi, tra un te', le fette biscottate con la marmellata e la radio accesa per volare ogni tanto lontano...

Traduzioni Giapponese Italiano ha detto...

Marialuigia, se il commento lo fai col nostro account comune del blog pare che me lo sono fatta da sola! Hahahaha! Comunque... credo sia proprio la stessa sensazione di cui parli anche tu, in effetti. E sono sempre felice che qualcuno possa riconoscersi in quello che scrivo. Se no uno che scrive a fare? :)

Anonimo ha detto...

Bello. Io non mi ci sono ritrovato, ma mi hai fatto sognare tanto. Grammatica come rifugio, come casa, come ordine contro il caos e quindi sicurezza.

Traduzioni Giapponese Italiano ha detto...

Grammatica come speranza di un futuro migliore :P :P :)